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DOMANI AL CHIOSTRO DEI CARMELITANI INCONTRO SU GIACOMO BONI

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Eva Tea, storica dell’arte, ma soprattutto discepola e biografa di Giacomo Boni, ha scritto che “la cattedrale di Nardò può mettersi tra le sue creature, tanta cura e tanto amore pose al suo riordinamento”. Il riferimento è proprio all’architetto e archeologo che tra il 1892 e il 1893 salvò la cattedrale di Nardò da un progetto di demolizione e ricostruzione.

Di questa vicenda, del legame tra Boni e la città e, in generale, della sua figura, si parlerà sabato 22 aprile alle ore 18 nel corso di un incontro-dibattito sul tema Giacomo Boni. Un architetto-archeologo tra Puglia e Roma, in programma al chiostro dei Carmelitani (corso Vittorio Emanuele II). Dopo i saluti del consigliere comunale (e organizzatore dell’incontro) Pierpaolo Giuri, del consigliere comunale e provinciale Gabriele Mangione, del sindaco Pippi Mellone e del presidente della Commissione Cultura del Senato Roberto Marti, interverranno Sandro Consolato e Paolo Gull. Il primo è docente di Discipline letterarie e Latino nei licei, studioso ed esperto del mito di Roma nella storia culturale e politica d’Italia, infine autore di una biografia su Giacomo Boni. Il secondo è archeologo dell’Università del Salento. Modererà l’incontro l’archeologa Antonietta Martignano.

Giacomo Boni, originario di Venezia, nel decennio tra il 1888 e il 1898 viaggiò molto in Puglia nel suo ruolo di ispettore nel dicastero per la Conservazione dei Monumenti, occupandosi della sorte di decine di chiese e monumenti. In una terra considerata all’epoca “semi-barbarica”, Boni riconobbe i segni di civiltà millenarie, interessandosi anche di questioni etniche, linguistiche, sociali o relative ai costumi dei luoghi. La sua poliedricità intellettuale, del resto, è nota (oltre che per le questioni legate all’archeologia e al restauro e recupero dei monumenti, Boni è ricordato per il forte patriottismo, per l’affinità con le tesi di D’Annunzio e per lo studio del mito di Roma, per le prime manifestazioni radicali dell’ambientalismo, infine per il suo impegno per imporre nella pubblica amministrazione criteri d’onestà e senso dell’economia e dell’efficienza contro la burocrazia, gli sprechi e gli imbrogli).

A Nardò arriva per la prima volta nel 1892 e trova la cattedrale in uno stato rovinoso e chiusa al culto. È in corso nella comunità locale un aspro dibattito sulla sorte dell’edificio di culto e non si esclude la sua demolizione e ricostruzione (c’è già un progetto dell’architetto barone Filippo Bacile Castiglione), prospettiva che però è avversata dal vescovo, monsignor Giuseppe Ricciardi. Boni intuisce che la demolizione è la soluzione sbagliata e si incarica di alcuni saggi che portano alla luce le vetrate a fogliami saraceno-normanni, le incavature del tetto a decorazioni policrome, i pilastri e gli archi a ferro di cavallo, ricoperti di pitture greche del ‘300. In una lettera del giugno 1892 Boni scrive “avevano raccolto 290.000 lire per costruire una nuova cattedrale; io ne farò risparmiare 100.000 e Nardò riavrà la sua bella basilica eretta dal Conte Goffredo nel 1090”. A luglio, da Roma, accettano l’intervento di conservazione e la cattedrale è salva. Per il ripristino architettonico Boni si avvale di architetti, restauratori e pittori locali e da Venezia fa arrivare 190 travi di legname di larice per ricostruire il tetto. Boni tornerà a Nardò nella primavera del 1894 e nell’estate del 1895. L’inaugurazione avviene nel 1905. Si deve a lui, quindi, il rispetto delle ragioni della storia e dell’arte e, quindi, della conservazione della cattedrale di Nardò, che egli stesso definì “tra le più belle del Mezzogiorno”.

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