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STORIA, TRADIZIONE E CURIOSITÀ SULLA VENEZIANA

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La storia del cacao è antichissima e risale ai popoli delle civiltà precolombiane dei Maya e degli Aztechi, che usavano le fave del cacao per farne una bevanda, con l’aggiunta di pepe, peperoncino, cannella ed altre spezie. Secondo una leggenda azteca, la pianta del cacao fu donata dal dio Quetzalcoatl (il dio serpente piumato dell’antica Mesoamerica) agli esseri umani per alleviare la fatica.

La data ufficiale della scoperta del cacao è il 30 luglio 1502, giorno in cui gli Aztechi, andati incontro alla caravella Santa Maria, offrirono a Cristoforo Colombo, durante il suo quarto ed ultimo viaggio, oltre a tessuti e cuoio lavorato, anche la loro moneta, cioè le mandorle di cacao. Il grande navigatore, pur senza attribuire alcuna importanza a quegli strani frutti, li portò con sé al suo ritorno in patria come una curiosità da mostrare ai sovrani Ferdinando  e Isabella di Spagna.

Fu Hernán Cortés che alcuni anni dopo si rese conto del loro possibile valore commerciale. Egli intorno al 1520 visitò la corte dell’Imperatore Montezuma a Tenochtitlan (la  capitale dell’Impero Azteco) e trasportò in Spagna un carico del prezioso alimento ricevuto in dono.

Per tutto il Cinquecento il cacao rimase una esclusività della Spagna, che aumentò le coltivazioni nei paesi vicini all’equatore con lo scopo di importarne grandi quantità.

La cioccolata continuò ad essere servita come bevanda, ma i monaci spagnoli modificarono la ricetta tradizionale e, per correggerne la naturale amarezza, tolsero il pepe e il peperoncino e aggiunsero la vaniglia e lo zucchero.

Il cioccolato giunse in Italia e, precisamente in Toscana, grazie ad un commerciante fiorentino.

Fu Caterina, figlia di Filippo II di Spagna e sposa di  Carlo Emanuele I di Savoia, a divulgarne l’uso quando arrivò a Firenze alla corte di Cosimo III de’ Medici.

Il consumo della cioccolata si diffuse sia a Firenze che a Torino e a Venezia, anche se inizialmente era un lusso di cui solo l’aristocrazia poteva godere.

Fino all’800 il cioccolato veniva gustato come bevanda; la solidificazione e i diversi gusti nacquero più tardi.

A seguito della Rivoluzione industriale, questo alimento divenne un prodotto di massa accessibile a tutti.

A Nardo’ (Le) persiste tuttora  l’antica tradizione di preparare, nel giorno di Tutti i Santi, “la veneziana”, ossia una cioccolata calda, cremosa, densa e profumata, accompagnata con i savoiardi, che sono biscotti dolci e leggeri dalla consistenza friabile e spugnosa, ideali per essere inzuppati. Anticamente, nel giorno di Ognissanti, nel paese aleggiava un’atmosfera gioiosa  per lo scambio degli auguri e per il dono della “veneziana”. Fidanzati, compari, vicini di casa e amici muniti di una “giucculatera” (piccolo recipiente usato per preparare la cioccolata) e di una “quantiera” (vassoio) di  savoiardi, percorrevano le vie di Nardò per raggiungere le varie abitazioni. In particolare le nuore preparavano e donavano la cioccolata calda e i savoiardi alle proprie suocere. Era questo un segno di gentilezza nei confronti delle persone care, di omaggio in onore di Tutti i Santi  e di suffragio verso i fedeli Defunti.

Esistono alcune leggende neretine legate alla tradizione della “veneziana” e tramandate oralmente da generazione in generazione. Esse sono legate a fatti storici, realmente accaduti e amplificati dalla fantasia dei nostri antenati. Tali fatti rimandano alla Repubblica di Venezia, che secoli fa dominava la Terra d’Otranto.

Un’antica leggenda racconta che la cioccolata calda prese il nome di “veneziana” perché era stata offerta per la prima volta ad un matrimonio da una giovane, chiamata da tutti “la

Veneziana”. La donna, originaria di Venezia, si era trasferita a Nardò perché aveva sposato un neretino.

Un’altra leggenda narra che un giovane e facoltoso mercante veneziano si innamorò di una bellissima ragazza neretina, figlia unica di madre vedova e la chiese in moglie. Il dolore della madre per l’allontanamento della figlia fu così grande che il giovane, per consolare la suocera, le fece portare una bevanda prelibata ancora poco conosciuta, la cioccolata calda.

Il racconto di questo episodio si diffuse rapidamente e il gesto di gentilezza fu imitato da tanti.

Nel corso del tempo il gesto di donare o ricevere la “veneziana” è diventato una tradizione che persiste nella cultura neretina.

Mariella Adamo e Lucia Bove

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