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“LU CARNIALE TI NA FIATA”

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Il termine “Carnevale” deriva dal latino “carnem levare”, che significa “privarsi della carne”, proprio per indicare l’ultimo banchetto opulento che, secondo la tradizione, si teneva il Martedì Grasso.

Il Carnevale inizia ogni anno il 17 Gennaio, data in cui si celebra la festa di Sant’ Antonio Abate. In questo giorno, in onore del Santo, si accende la “focara” (grande falò composto da fascine di rami di ulivo). E’ un momento in cui sacro e profano, due mondi apparentemente lontani, si intrecciano in un susseguirsi di riti, tradizioni, musica, animazione, sfilate, travestimenti, giochi, magia, divertimenti e allegria. Il periodo carnevalesco si conclude il Martedì grasso, il giorno precedente il Mercoledì delle Sacre Ceneri, una festività che segna l’inizio del periodo quaresimale, caratterizzato dal digiuno, dall’astinenza, dalla penitenza e dalla conversione. Il Carnevale ha origini remote che affondano le proprie radici ai tempi dei Greci e dei Romani.

Nel passato il Carnevale garantiva il divertimento ed attutiva le tensioni sociali. Le classi subalterne aspettavano con impazienza ed entusiasmo questa festa per poter finalmente appropriarsi di un ruolo diverso e dimenticare la propria miseria. Da questa voglia di libertà nacquero, in epoca romana, i “Baccanali”, dedicati al dio Bacco, i “Saturnali” al dio Saturno e i “Lupercali” al dio Luperco. Mascheramenti e feste popolari continuarono nel Medioevo, nonostante l’avversione della Chiesa, che cercò di porre un limite con la Quaresima. Fu il Rinascimento che sancì il vero trionfo del Carnevale, quando persone di ogni estrazione sociale festeggiavano allegramente in piazza, indossando vari travestimenti. Nel periodo di Carnevale, erano famosi i “trionfi”, organizzati da Lorenzo de’Medici, che consistevano in sfilate di carri allegorici. Tra il 1600 e il 1700, grazie alla Commedia dell’Arte, il Carnevale conobbe nuova linfa vitale con i personaggi di Arlecchino, Colombina, Pantalone….Verso la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in molti paesi ebbero inizio i veri e propri festeggiamenti carnevaleschi.

Nel Salento, anticamente il Carnevale aveva una finalità propiziatoria. Secondo la mentalità contadina, il Carnevale con i suoi schiamazzi “svegliava” la dormiente divinità solare e allontanava i demoni degli inferi, donando la fertilità ai campi e agli armenti. Le classi meno abbienti, che non potevano permettersi il lusso di divertirsi per il resto dell’anno, allestivano le feste mascherate nelle proprie abitazioni oppure in locali privati. La media borghesia partecipava ai veglioni organizzati nei cinema o nei teatri dove si danzava, si ascoltava la musica, si gustavano i cibi tipici di questo periodo e si brindava in un clima allegro e conviviale. I nobili e i ricchi proprietari festeggiavano in lussuosi circoli privati, sfoggiando costumi molto eleganti e raffinati. Intorno agli anni ’60, a Nardò (città della provincia di Lecce) dominavano le feste private. Colui che organizzava il festino metteva a disposizione un locale o una stanza abbastanza grande della propria abitazione dove poter ballare. Per fare spazio le sedie erano addossate alle pareti, che venivano addobbate con festoni, stelle filanti e mascherine variopinte. Bastavano il giradischi e i mitici dischi in vinile per fare festa! Gli intramontabili e gioiosi balli, protagonisti delle feste di quel periodo erano il twist, lo shake, l’Hully Gully, la quadriglia e il famigerato ballo del mattone, un ballo “lento e appassionato” così intimo che bastava lo spazio di un mattone per contenere la coppia! Molto in voga era anche “il ballo della scopa”, l’ancora di salvezza che i più timidi aspettavano con impazienza. Durante la festa si formavano le coppie e si cominciava a ballare “i lenti”. Un ragazzo con una scopa si avvicinava ad una coppia e porgeva la scopa al cavaliere, sostituendosi a lui per ballare il lento con la ragazza. Così all’improvviso i timidi della compagnia iniziavano a ballare con la fanciulla dei loro sogni! L’impresario Giovanni Sanasi, detto “Cilinu”, organizzava i famosi veglioni nei cinema Moderno, Augusteo e Antoniano, in cui si esibivano i cantanti del momento. Ai veglioni c’era chi indossava il vestito elegante, scelto con cura e chi, per non farsi riconoscere o per divertirsi sfacciatamente, indossava il dominò, una veste consistente in un lungo mantello o in una tunica con cappuccio, simile alle cappe di alcuni ordini religiosi, ma con maniche e maschera per il viso. Negli oratori parrocchiali e nelle scuole si allestivano le feste in maschera per fare divertire i bambini. I più grandicelli si organizzavano in gruppi e si travestivano da contadino, da prete, da carabiniere, da soldato, da sposi, da donna… Ognuno cercava di arrabattarsi per trovare il vestito e gli accessori adatti nella propria casa oppure in casa dei nonni o degli zii. Le maschere erano realizzate con il cartone, su cui si facevano i fori per gli occhi, il naso e la bocca. I ragazzi si davano appuntamento in un luogo convenuto del proprio quartiere e iniziavano il giro del divertimento. Bussavano alla porta di parenti, amici, vicini di casa, compari e facevano  baldoria. Alla fine i proprietari li ricompensavano con caramelle, cioccolatini e frutta secca. In Piazza Salandra e per le vie del centro storico si incontravano tante figure divertenti della tradizione neretina:

-“Umberto lo zoppo”, che era solito indossare sul capo un paio di corna attorno alle quali attorcigliava “la sardizza rrustuta” (salsiccia arrostita), offerta dalla macelleria Edoardo Russo, che donava ai passanti;

– Attilio Benassai, il quale ostentava un vaso da notte colmo di “pasta e pasuli” (pasta e fagioli), che distribuiva ai curiosi;

– il mitico “Tre quinti e mienzu”, che cantava la canzone “Marina”, accompagnandosi con la fisarmonica.

Negli anni ’70, il Centro Turistico Giovanile “Osanna”, diretto dal prof. Aldo Lega, iniziò ad organizzare le manifestazioni carnevalesche, in cui si esibivano le majorette, gli sbandieratori, la banda, le maschere in coppia, le maschere singole, i gruppi mascherati e i carri allegorici. Dopo aver sfilato per le principali vie della città, le maschere più belle venivano premiate da un’apposita giuria. A queste manifestazioni assistiva un folto pubblico composto da adulti e bambini, che si divertivano inseguendo i carri, recitando a squarciagola le filastrocche e lanciando le stelle filanti e i coriandoli. Quelli che non avevano la possibilità di comprare i coriandoli, si industriavano a tagliare a pezzi piccolissimi i fogli dei giornali.

I dolci che si consumavano nel periodo di Carnevale erano:

 -“li candillini” (i cannellini, piccoli confetti colorati di zucchero con all’interno un filo di cannella);

-”li mendule ricce” (le mandorle ricce, confetti dalla forma riccia e ovoidale di colore bianco con un cuore di mandorla);

– “li castagnole” (le castagnole, palline croccanti a base di farina, uova, burro, profumate da anice e vaniglia, fritte nell’olio e cosparse di zucchero a velo);

– le frittelle di mela, dolcetti sfiziosi ottenuti con un impasto di farina, zucchero, uova, lievito, succo e buccia di limone e mele, fritte nell’olio e cosparse di zucchero semolato;

– le chiacchiere (croccanti, delicate e sottili sfoglie ottenute con un impasto di farina, zucchero, uova, buccia di limone grattugiata, olio, fritte e cosparse di zucchero a velo). L’origine delle chiacchiere si perde nella notte dei tempi e viene fatta risalire all’antica Roma, dove erano chiamate “fritcilia” perché fritte nel grasso di maiale. Erano preparate dalle donne romane per festeggiare i “Saturnali “(un ciclo di festività che corrisponde attualmente al Carnevale). Si era soliti farne grosse quantità perché dovevano durare per tutto il periodo della Quaresima.

Nel tempo gli usi e i costumi neretini sono cambiati, ma oggi come nel passato il Carnevale continua a rappresentare un momento di festa, che coinvolge grandi e piccini in un vortice di suoni, colori, odori, sapori, giochi, scherzi e divertimenti.

Attualmente le manifestazioni che allietano la città di Nardò in questo periodo sono il “Carnevale neretino”, organizzato dal CTG Osanna, guidato dal prof. Aldo Lega, il “Carneval sup party” e il “Carnevale al Castello”, organizzati dall’assessorato alla cultura e al marketing territoriale, guidato da Giulia Puglia.

Mariella Adamo e Lucia Bove

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